La legge Pinto trova applicazione anche nelle procedure esecutive ed in quelle concorsuali, in quanto la nozione di procedimento presa in considerazione dall’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, secondo la giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo, riguarda in generale tutti i processi che appartengono alla giurisdizione, in quanto condotti sotto la direzione o la vigilanza del giudice, a garanzia della legittimità del loro svolgimento (Cass. 18 novembre 2009 n. 24360).

L ’art 2, comma 2 bis della Legge Pinto, stabilisce che il termine “ragionevole” di durata si considera rispettato se la procedura concorsuale si è conclusa in sei anni.

Secondo la più recente giurisprudenza (tra le altre, Cass. Civ. 27 agosto 2018, n. 21200), per i creditori tale termine decorre dalla data di ammissione al passivo.

Ovviamente se il predetto termine di 6 anni non è stato superato dal Giudice, nulla spetta al creditore, non essendo stato leso il suo diritto all’equa riparazione.

Fondamentale, ai fini della presentazione della domanda di equa riparazione, è la copia conforme della domanda di ammissione al passivo fallimentare col timbro di “deposito” del cancelliere recante data certa, che il difensore, munito di delega del creditore, può sempre acquisire in Cancelleria.

In pratica se il fallimento ha una durata superiore ai sei anni (sette se la procedura fallimentare è eccezionalmente complessa), si può presentare ricorso per equa riparazione al Presidente della Corte d’Appello territorialmente competente.

Il ricorso deve essere depositato entro sei mesi dalla conclusione definitiva del procedimento che, nel caso del fallimento, coincide con il passaggio in giudicato del relativo decreto di chiusura.

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