Il leasing finanziario non dà luogo ad un unico contratto trilaterale con un'unica causa, bensì ad un'ipotesi di collegamento negoziale tra il contratto di fornitura, intercorrente tra fornitore e società concedente, ed il contratto di leasing , stipulato tra concedente ed utilizzatore del bene.
Pertanto le vicende dell'uno, in termini di validità e di efficacia, si ripercuotono sull'altro.
Ciascun contratto conserva la sua causa: in particolare la causa del contratto di leasing è il finanziamento per l'acquisto di beni; il canone periodicamente versato dall'utilizzatore, infatti, tende a REMUNERARE il concedente del capitale impiegato per l'acquisto del bene.
Il contratto di leasing finanziario è attualmente definito dall'art. 1, comma 136 Legge n. 124/2017 come il contratto (tipico) con cui una banca o un intermediario finanziario si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene secondo le indicazioni dell'utilizzatore, mettendolo a sua disposizione per un dato tempo verso un corrispettivo.
All'interno del leasing finanziario, occorre distinguere due sottotipi contrattuali, a seconda che il canone rappresenti il corrispettivo, rispettivamente, del futuro trasferimento del bene, oppure del godimento del bene:
- Il leasing traslativo (che la giurisprudenza ha equiparato alla fattispecie della vendita a rate con riserva di proprietà: con conseguente applicazione in via analogica in tema di risoluzione dell'art. 1526 c.c.), in cui si trasferisce la proprietà del bene (che, alla scadenza del contratto, conserva un valore residuo apprezzabile);
- Il leasing di godimento, in cui, normalmente, non vi è trasferimento della proprietà del bene.
Il leasing di godimento, infatti, ha ad oggetto beni destinati a divenire tecnologicamente obsoleti o a perdere valore economico in breve tempo; pertanto la durata del contratto di leasing di godimento corrisponde tendenzialmente alla durata di vita del bene, ragion per cui l'acquisto di quest'ultimo alla scadenza del contratto da parte dell'utilizzatore è puramente eventuale.
In caso di inadempimento all'obbligo di pagamento di una rata, il concedente può chiedere la risoluzione del contratto ed ha diritto alla restituzione del bene senza dover restituire le rate già riscosse (si veda l'art. 1526 c.c.), nonché al pagamento delle rate residue e degli interessi moratori.
Si consideri che la giurisprudenza ha ritenuto applicabile in via analogica al leasing traslativo l'art. 1526 c.c. in tema di risoluzione in quanto solo nel leasing traslativo l'interesse dell'utilizzatore è quello di divenire proprietario del bene alla scadenza del contratto e i canoni, quindi, hanno la funzione di anticipazione rateizzata del prezzo d'acquisto, ossia di "versamento rateale del prezzo, in previsione dell'esercizio finale dell'opzione di acquisto" (cfr. Cassazione Civile nn. 888/14, 19287/2010, 73/2010, 19697/2008).
La giurisprudenza ha altresì affermato la natura inderogabile della disciplina di cui al suddetto articolo (cfr. in particolare Cassazione Civile n. 19732/2011): ciò quindi ha spesso comportato la dichiarazione di nullità, per contrasto con l'articolo 1526 Codice Civile, delle clausole risolutive espresse contenute nei contratti di leasing che potevano essere sbilanciate da un punto di vista economico a favore del concedente. Ad esempio la tipica clausola, citata in Cass. N. 888/14, secondo cui "nel caso di risoluzione per inadempimento, l'utilizzatrice, "...ferma restando l'obbligazione di restituzione immediata dell'immobile e salvo il risarcimento del maggior danno, sarà tenuta: A) al pagamento di tutte le somme dovute per canoni, interesse ed altro maturati e non soddisfatti; B) al pagamento - a titolo di penale - della somma dei canoni non ancora scaduti maggiorata del prezzo di riscatto di cui all'art. 18, attualizzati al tasso di riferimento in vigore alla data di stipula del presente contratto ed indicato alla lettera K delle premesse più un punto, C) al pagamento degli interessi di mora di cui all'art. 13 fino all'integrale adempimento...".
Si consideri che quasi tutte le società esercenti il leasing in Italia adottavano nei primi tempi una clausola risolutiva chiamata, nel gergo delle finanziarie, "scaduto + scadere + bene": essa prevedeva che in caso di risoluzione per l'inadempimento dell'utilizzatore, quest'ultimo fosse tenuto a pagare tutte le somme dovute per canoni scaduti e non soddisfatti, a versare a titolo di penale i canoni non ancora scaduti e il prezzo del riscatto, nonché a restituire il bene. Tale clausola, evidentemente, determinava un ingiustificato arricchimento del concedente, in quanto in molti casi quest'ultimo conseguiva più di quanto avrebbe avuto diritto di ottenere nell'ipotesi di regolare adempimento dell'utilizzatore. Questo meccanismo contrastava inoltre col divieto di cui all'articolo 1383 Codice Civile ("il creditore non può domandare insieme la prestazione principale e la penale, se questa non è stata stipulata per il semplice ritardo"), norma che si basa sullo stesso principio su cui è fondato l'articolo 1526.
Cass. n. 888/14, in particolare, ha espressamente statuito il principio di diritto secondo cui "le clausole contrattuali che attribuiscano alla società concedente il diritto di recuperare, nel caso di inadempimento dell'utilizzatore, l'intero importo del finanziamento ed in più la proprietà e il possesso dell'immobile, attribuiscono alla società stessa vantaggi maggiori di quelli che essa aveva il diritto di attendersi dalla regolare esecuzione del contratto, venendo a configurare gli estremi della penale manifestamente eccessiva rispetto all'interesse del creditore all'adempimento, di cui all'art. 1384 cod. civ. (Cass. civ. Sez. 3, 13 gennaio 2005 n. 574; Idem, 2 marzo 2007 n. 4969; Idem, 27 settembre 2011 n. 19732, ed altre).
Nel valutare se la penale sia manifestamente eccessiva, infatti, il giudice è tenuto a comparare il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente con il margine di guadagno che egli si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto (Cass. civ. Sez. 3, 23 marzo 2001 n. 4208). Ad analoghi principi si uniforma la Convenzione di Ottawa sul leasing finanziario internazionale 28 maggio 1988, recepita nell'ordinamento italiano con legge 14 luglio 1993 n. 259, le cui disposizioni, pur se non immediatamente applicabili alla controversia oggetto di esame, offrono un significativo termine di raffronto per la ricostruzione della disciplina dell'inadempimento del fornitore (Cass. civ. Sez. 3, 16 novembre 2007 n. 23794).