Il cittadino, normalmente, ripone fiducia nel sistema bancario.

Preso dalle proprie vicende quotidiane, spesso non si pone certe domande e non sospetta i vizi di tale sistema.

Il vizio di fondo del sistema bancario, quello per cui siamo tutti in difficoltà al giorno d'oggi, fu individuato anni fa dal prof. Giacinto Auriti: il fenomeno del signoraggio.

 

https://www.youtube.com/watch?v=O6hmF-pKJ7o&feature=youtu.be&list=PLimc7jftHxGXQGnfmxa_wTk7lZIHEUriL&app=desktop 

 

Non è questa la sede per approfondire tale fenomeno: in sintesi lo Stato, rinunciando alla propria sovranità monetaria (che è e dovrebbe essere un corollario logico-giuridico dell'art. 1, comma 2, della Costituzione), si fa prestare denaro dalle banche centrali - in mano a società private, mosse da interessi privati.

Queste, per emettere denaro cartaceo e metallico, sostengono costi insignificanti (le spese per carta e inchiostro, in sostanza): tali costi rappresentano il valore intrinseco del denaro.

Il problema è che le banche centrali pretendono di riavere indietro il denaro che "prestano" non al valore intrinseco, bensì al valore nominale (cioè di facciata: 100 euro, 20 euro...) con gli interessi, creando un debito pubblico per definizione inestinguibile! di qui i continui aumenti delle tasse (che, al di là delle bugie dei politici, finchè dura il fenomeno del signoraggio non potranno mai essere realmente abbassate) e la qualità sempre più scadente ed insufficiente dei servizi pubblici, ai quali, in teoria, le imposte dovrebbero essere destinate...

Questo vizio, come una sorta di... "peccato originale", determina "a cascata" tutti gli altri vizi del sistema bancario.

Quel che preme evidenziare in questa sede, è che in Italia è statisticamente provato che due mutui su tre sono illegali, cioè stipulati in violazione della normativa antiusura (art. 1815 cod. civ.; art. 644 cod. pen.) e del divieto di anatocismo (art. 1283 cod. civ.): per non parlare della truffa sull'euribor (su cui si invita a documentarsi in rete, non essendo questa la sede per approfondimenti) e del lucro sulla data di valuta quando il cittadino versa un assegno sul proprio conto corrente (il cosiddetto "gioco delle valute", in virtù del quale il correntista che ha ricevuto un pagamento tramite assegno o bonifico perde giorni utili per la maturazione degli interessi attivi)...

 

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Definizione di "anatocismo"

Il termine anatocismo indica il fenomeno in base al quale interessi maturati su un capitale (che restano da questo distinti) producono essi stessi ulteriori interessi: in altri termini, per anatocismo s'intende il fenomeno della produzione di ulteriori interessi da parte di interessi già scaduti ed esigibili.

Si tratta dell'applicazione di interessi su interessi già maturati in precedenza a danno del debitore. Ad esempio su un capitale di 100 euro, in un dato periodo, fruttano interessi pari a 2. L'anatocismo consiste nel fatto che se questi interessi non sono pagati, essi si sommano al capitale (100 più 2) in modo che, nel periodo successivo di computo degli interessi, gli interessi non si calcolano più su 100 ma su 102. E così via di periodo in periodo. 

Si veda: https://www.youtube.com/watch?v=SE-dYKL0wZw

 

Qual è la conseguenza pratica dell'accoglimento della domanda di declaratoria di nullità della clausola contrattuale che prevede il fenomeno giuridico-contabile dell'anatocismo bancario (cosiddetta "clausola anatocistica")? La rideterminazione del saldo passivo del risparmiatore, oppure la ripetizione (restituzione) ai sensi dell'art. 2033 c.c. degli importi eventualmente corrisposti alla banca a titolo di interessi anatocistici (fermo l'obbligo del pagamento degli interessi corrispettivi pattuiti o comunque dovuti in base alla legge).

Viceversa, all'accoglimento della declaratoria di nullità della clausola che preveda il pagamento di interessi in misura usuraria consegue - ai sensi dell'art. 1815, comma 2, c.c. - la totale liberazione del correntista-mutuatario dall'obbligo di corrispondere qualsiasi interesse ("non sono dovuti interessi", recita la norma citata) e quindi la restituzione a favore di costui di tutte le somme corrisposte a titolo di interessi alla banca: il mutuo o il finanziamento, in pratica, diventa gratuito ed il correntista è tenuto soltanto a restituire all'istituto di credito la somma ricevuta.

Si tenga, infine, ben presente che la banca non può minacciare azioni legali se il cliente risulta inadempiente in una situazione di anatocismo o usura: è giurisprudenza pacifica che la minaccia di un'azione legale è minaccia di un male ingiusto, che integra gli estremi dell'estorsione se la banca era consapevole che non poteva chiedere quelle somme.

L'elemento soggettivo della consapevolezza dell'ingiustizia della minaccia, cioè del male minacciato, distingue il delitto di estorsione da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

 

PER APPROFONDIRE: BREVE STORIA DELL'ANATOCISMO

Il denaro è un bene naturalmente fecondo, fruttifero, ed ogni obbligazione pecuniaria, come si evince dal combinato disposto degli artt. 1282 e 1224 c.c., genera per sua natura interessi; l'inadempimento di un'obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro (cosiddetta "obbligazione pecuniaria") comporta, ai sensi dell'art 1224, comma 2, c.c., un obbligo risarcitorio comprendente gli interessi moratori ed il maggior danno che si riesca a provare.

Tuttavia, per non aggravare la posizione economica del debitore e scongiurare il rischio di fenomeni usurari (e quindi nel rispetto dei principi di buona fede oggettiva e di abuso del diritto - ricavabili, a livello costituzionale, dall'art. 2 Cost. - in base ai quali il creditore non può conseguire, nella fase patologica del rapporto contrattuale vantaggi maggiori di quelli che avrebbe conseguito nella fase fisiologica del rapporto), l'art. 1283 c.c. pone un divieto generale di anatocismo e, al tempo stesso, stabilisce alcune deroghe a tale divieto aventi natura eccezionale, data l'imperatività della norma.

Dispone l'art. 1283 c.c.: "In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi.

A ben vedere, la norma consente eccezionalmente il meccanismo anatocistico di capitalizzazione degli interessi passivi scaduti in tre ipotesi:

- in presenza di una pattuizione espressa successiva alla scadenza degli interessi, i quali devono essere scaduti da almeno sei mesi (anatocismo convenzionale che, in pratica, si ha in presenza di un debito arrivato a scadenza con i relativi interessi qualora le parti si accordino per un' ulteriore dilazione di tempo per il pagamento; in tal caso, la somma fino ad allora maturata comprensiva dei relativi interessi scaduti si intende come nuovo capitale prestato e sul totale di tale importo possono maturare nuovi interessi);

- in presenza di una domanda giudiziale espressa (anatocismo legale o giudiziale, ad esempio in presenza di un ricorso per decreto ingiuntivo, volto ad evitare che la durata del processo possa nuocere al creditore), successiva alla scadenza degli interessi, i quali devono essere scaduti da almeno sei mesi;

- in presenza di usi normativi secundum legem (con funzione sostitutiva, dato che l'art. 1283 detta una disciplina tipica destinata ad essere applicata soltanto "in mancanza di usi contrari", vale a dire in assenza di usi normativi contrari); in quest'ultima ipotesi di deroga si parla di anatocismo usuale (o usuario), ammissibile anche oltre i limiti posti dalla norma all'anatocismo legale ed a quello convenzionale (quindi anche se la convenzione tra le parti è precedente alla scadenza degli interessi e questi sono dovuti per meno di sei mesi )

E' importante - come vedremo - sottolineare che l'art. 1283 c.c. fa esclusivo riferimento agli usi normativi (artt. 1,4,8 disp. prel. c.c.): per uso normativo - fonte di norme giuridiche - s'intende la consuetudine, vale a dire la ripetizione generale, uniforme e costante nel tempo di un determinato comportamento (elemento oggettivo della "diuturnitas"), accompagnato dalla convinzione che si tratti di un comportamento giuridicamente obbligatorio (elemento soggettivo della "opinio iuris ac necessitatis"). L'uso normativo, fonte del diritto, non va confuso con l'uso negoziale, che fonte del diritto non è: per uso negoziale, precisamente, s'intende l'uso avente una funzione integrativa del contenuto della disciplina contrattuale, ove questa presenti delle lacune (si parla, a riguardo, di "clausole d'uso": art. 1340 c.c.).

In materia, si è posto il problema dell'ammissibilità del c.d. < anatocismo bancario>, quale ulteriore  deroga al divieto generale di anatocismo sancito dall'art. 1283 c.c.

Si è posto, in particolare, il problema di stabilire se possa qualificarsi come uso normativo (come tale in grado di derogare alla disciplina tipica dettata dall'art. 1283 c.c., in base a quanto evidenziato) o come uso negoziale (che non è in grado di derogare alla disciplina dettata dall'art. 1283 c.c.), quella pratica - menzionata nelle norme bancarie uniformi predisposte dall'A.B.I. (Associazione Bancaria Italiana)- che consiste nella capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi (dovuti, cioè, dal cliente alla banca) scaduti, mediante una convenzione anteriore (non successiva, come prescritto dall'art. 1283 c.c.) alla scadenza di tali interessi.

Sulla vexata quaestio, dalla fine degli anni ‘90 ad oggi, si è assistito ad un vivace contrasto tra la giurisprudenza ed il legislatore.

La Suprema Corte, con sentenza n. 2374/99, mutando radicalmente il proprio precedente orientamento, aveva chiaramente affermato la nullità "virtuale" della clausola anatocistica, ossia della clausola negoziale prevedente  la suddetta capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, per violazione della norma imperativa di cui all'art. 1283 (nullità virtuale: art. 1418, comma 1, c.c.).

Ciò in quanto tale prassi non è riconducibile ad un uso normativo, bensì ad un uso negoziale che, come si è visto, non è in grado di derogare alla disciplina stabilita dall'art. 1283 c.c..

Un uso normativo, argomentava la Corte, non è configurabile, in primo luogo, per mancanza dell'elemento oggettivo della regola consuetudinaria, rappresentato dalla diuturnitas, ossia della ripetizione generale, uniforme, costante, frequente e pubblica di tale prassi.

Ciò in quanto non è possibile provare se tale prassi è stata recepita in quanto preesistente dalle norme bancarie uniformi, anziché creata ex novo.

In secondo luogo un uso normativo non è configurabile per mancanza dell'elemento soggettivo dell'opinio iuris ac necessitatis ossia della libera convinzione circa la doverosità giuridica di tale prassi.

Ciò in quanto il cliente, se vuole accendere il mutuo, è costretto a subire l'imposizione della suddetta prassi da parte della banca, quale contraente più forte. In altri termini, precisava la Suprema Corte, la clausola di capitalizzazione trimestrale è accettata dal cliente della banca non perché ritenuta conforme al diritto oggettivo, bensì perché ricompresa nelle condizioni generali di contratto predisposte unilateralmente dall'istituto di credito, la cui accettazione è requisito imprescindibile per accedere al credito bancario.

Pochi mesi dopo tale pronuncia della Corte di cassazione, l'art. 25 comma 2 del decreto legislativo n. 342/99 ha sancito la validità e l'efficacia delle clausole relative alla produzione (anche trimestrale) di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati  anteriormente alla data di entrata in vigore di una successiva delibera del Comitato Interministeriale per il credito ed il risparmio (recentemente soppresso).

In seguito la Corte Costituzionale (sent. 425/2000) ha dichiarato tale disposizione incostituzionale per violazione dell'art. 76 Cost.  (eccesso di delega).

Nel 2004 le Sezioni Unite della Corte Cassazione hanno ribadito e confermato il proprio orientamento in punto di nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del risparmiatore imposte dalle banche per contrarietà ad una norma imperativa, quale l'art 1283 c.c. (Cass., Sez. Un., n. 21095/2004).

Successivamente, la Suprema Corte si è posta il problema della decorrenza del termine prescrizionale (ovviamente decennale, stante la natura contrattuale del rapporto intercorrente tra banca e cliente) dell'azione di ripetizione ex art. 2033 c.c. delle somme indebitamente corrisposte dal correntista in base alla clausola anatocistica, ossia dell'individuazione del momento iniziale (dies a quo) di tale termine.

In particolare, con una fondamentale pronuncia del 2010 (Cass., Sez. Un., 24418/2010), le Sezioni Unite hanno affermato che il suddetto termine decorre dalla chiusura definitiva del rapporto contrattuale di conto corrente, e non dalle singole annotazioni passive sul conto, trattandosi di mere operazioni contabili, non di effettivi trasferimenti patrimoniali. Le stesse Sezioni Unite, inoltre, hanno dichiarato la nullità dell'anatocismo annuale in favore della banca e la legittimità di quello annuale in favore del cliente.

Senonchè, a riaprire il dibattito sulla decorrenza del termine prescrizionale dell'azione di

ripetizione dell'indebito oggettivo, è intervenuto l'art. 2, comma 61, L. 10/2011, che ha ribaltato l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità.

Tale disposizione, anzitutto, ha introdotto un singolare criterio di interpretazione autentica dell'art. 2935 c.c., in mancanza di una situazione di incertezza interpretativa.

Quindi la citata disposizione è intervenuta retroattivamente su rapporti giuridici pregressi, cioè sorti anteriormente alla sua entrata in vigore, stabilendo, in pratica, che l'azione di ripetizione dell'indebito non è ammissibile riguardo a quelle somme che risultino pagate dal correntista alla data del 27-02-2011.

La Corte Costituzionale, con sent. 78/2012, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale disposizione per contrasto con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza (art 3 Cost) che si traducono nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento.

L'efficacia retroattiva di tale disposizione, infatti, pregiudica i correntisti che abbiano avviato azioni di ripetizione delle somme indebitamente corrisposte alla banca, anteriormente alla entrata in vigore della norma denunziata, creando in tal modo un'ingiustificata disparità di trattamento.

Risulta altresì violato l'art. 6 Cedu sul processo equo; tale disposizione (come tutte le disposizioni Cedu ) integra, quale norma interposta (di rango sub costituzionale, come ha chiarito la Consulta), il parametro costituzionale di cui all'art. 117, comma 1, Cost., nella parte in cui impone l'adeguamento della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, tra cui sono ricompresi quelli derivanti dalla CEDU, come chiarito dalla stessa Corte.

La legge di stabilità 2014 (Legge 27 dicembre 2013, n. 147), entrata in vigore il 1° gennaio 2014, con il comma 729 ha modificato l'art. 120 del TUB (Testo Unico Bancario), mettendo la parola fine all'anatocismo bancario. Infatti, come emerge chiaramente dalla relazione di presentazione della proposta di legge alla Camera, la ratio legis della norma citata (secondo cui "gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale") è quella di evitare e vietare che gli interessi passivi, una volta scaduti, confluiscano nella sorte capitale, producendo ulteriori interessi.

Anche il Tribunale di Milano, con due successive Ordinanze del 25 marzo 2015 e del 3 aprile 2015, ha ribadito che, in base alla suddetta Legge n. 147/13, dal 1° gennaio 2014 l'anatocismo non è più ammmissibile. 

Si segnala, da ultimo, il decreto legge 14 febbraio 2016, n. 18, convertito dalla legge 8 aprile 2016, n. 49, che ha surrettiziamente reintrodotto l'anatocismo bancario, sia pure su base volontaria, occorrendo l'autorizzazione scritta (comunque revocabile) del cliente.

 

L'art. 17 bis della suddetta legge ha ulteriormente modificato l'art. 120 T.U.B., prevedendo che:

 

3 b) gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale; per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido:

4 i) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1° marzo dell'anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili;

5 ii) il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l'addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l'autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l'addebito abbia avuto luogo.

Con la nuova modifica, pertanto, gli interessi debitori solutori verranno, di fatto, conteggiati al 31 dicembre (e fin qui, nessun problema, dato che ai sensi dell'art. 821 c.c. "I frutti civili si acquistano giorno per giorno in ragione della durata del diritto") e diverranno esigibili dal 1° marzo dell'anno successivo a quello in cui sono maturati: cioè gli interessi solutori divengono esigibili, per legge, dopo un certo tempo.

La normativa in esame, in buona sostanza, consente che il correntista, parte contrattuale debole, possa autorizzare preventivamente (quindi, prima della scadenza, cioè ex ante, e non successivamente alla scadenza, ex post, come previsto dall'art. 1283 c.c.) l'addebito degli interessi solutori sul conto al momento in cui questi divengono esigibili, trasformando detti interessi in sorte capitale, produttiva, a sua volta, di ulteriori interessi.

Tale possibilità concessa al correntista cela, dunque, una sorta di "imposizione" (il “può” nella norma, in realtà, va letto come “deve”): l'obbligo di liquidazione degli interessi passivi solutori entro 60 giorni, se non rispettato dal correntista, si tramuta sostanzialmente in una legittimazione ed automatizzazione dell'anatocismo annuale e poco vale nella realtà delle cose l'aver previsto che "l'autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l'addebito abbia avuto luogo".

Nella realtà ciò che resta al correntista è la facoltà di scelta: pagare gli interessi maturati extra fido nell'anno solare precedente al 1° marzo di ogni anno oppure farli addebitare in conto, dando così via alla capitalizzazione composta degli stessi; al contrario per quanto concerne interessi e spese che si formano nell'ambito del rapporto affidato, seppur maturati quotidianamente non diverranno esigibili il 1° marzo dell'anno successivo perchè non considerati dal testo di legge come liquidi ed esigibili.

Alla luce del nuovo testo dell'art.120 T.U.B., pare quindi si possa ragionevolmente concludere che l'intervento del legislatore abbia inteso reintrodurre, almeno parzialmente, la legittimità della pratica anatocistica (fermo restando il riverbero che tale pratica ha notoriamente sulla determinazione TAEG e quindi sull'usura) ma ciò a favore solo del sistema bancario escludendo chiunque altro che rimarrà soggetto al divieto dell'art. 1283 c.c. .

(fonte: http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/dirittoCivile/2016-04-13/il-ritorno-anatocismo-bancario-101440.php )